Author: Marzia Catino
Committee: Audit Institutions Committee
Date: 05/12/2024

La Corte dei Conti e l’EPPO (European Public Prosecutor’s Office) collaborano per contrastare gli illeciti a danno degli interessi finanziari dell’Unione europea, con lo scopo di assicurare l’integrità e la trasparenza nella gestione delle risorse pubbliche. L’intesa, oltre ad uno scambio di informazioni utili ad uno svolgimento proficuo delle indagini, consente di citare dinanzi alla Corte dei Conti anche i privati che hanno percepito indebitamente finanziamenti a carico del bilancio dell’Unione Europea.

In relazione a tale cooperazione, nell’articolo verrà trattata una sentenza emessa dalla Corte dei conti, inerente all’indebita percezione di contributi europei da parte di un privato.

Con sentenza n.32/2024 la Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per il Molise, condanna al pagamento della somma di euro 19.200,60, l’amministratore unico dell’azienda per un utilizzo illecito di fondi pubblici.

La “notitia damni” è stata fornita dalla Procura che ha acquisito un documento relativo ad un’operazione finanziata dal programma “POR FESR 2014-2020”, un fondo europeo destinato a progetti di ricerca e innovazione, di cui beneficiava l’impresa. Veniva inoltre segnalato dalla Procura la richiesta di avere notizie aggiornate circa lo stato del procedimento penale avviato dalla Procura Europea (EPPO), sede di Roma. L’inchiesta riguardava la regolarità dell’uso dei fondi pubblici, con un focus particolare ai sostegni finanziari che la società aveva ricevuto nell’ambito del programma europeo per l’innovazione. La verifica da parte delle autorità avrebbe dovuto accertare la correttezza delle misure di sostegno e degli interventi di cui l’azienda aveva beneficiato, per assicurarsi che non ci fossero stati abusi o irregolarità nell’uso delle risorse.

Ebbene alla luce delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza, la società risultava essere beneficiaria di un contributo in conto capitale a fondo perduto, pari a euro 61.946,48, erogato in due fasi distinte (anticipazione e saldo finale), regolato dal “Disciplinare degli obblighi” che prevedeva condizioni precise sulla corretta gestione delle somme ricevute.

Come emerge dalla parte in fatto della sentenza, la Guardia di Finanza, a seguito delle indagini, rinveniva due documenti relativi ai rapporti lavorativi tra l’azienda e una seconda ditta. In particolare, emergeva che tale ditta avesse emesso una fattura (n.27/2019) per un importo parti a euro 35.121,00, avente come destinatario l’azienda per la realizzazione di un sito web e successiva pubblicità del sito sui social. Tuttavia, il titolare della ditta dichiarava che, a causa di condizioni personali, si era trovato costretto a porre termine all’incarico affidatogli e che, pertanto, per le prestazioni non completate emetteva una nota di credito (n. 1/2019) per un importo di euro 32.001,00 bonificata in quattro distinti bonifici, riducendo così l’importo finale che l’azienda avrebbe dovuto pagare. Come risultava dagli estratti del conto bancario, questi quattro distinti pagamenti erano stati effettuati direttamente a favore dell’imprenditore condannato. Risulta importante sottolineare come la nota di credito emessa abbia stornato una parte del pagamento originariamente richiesto dall’azienda per la fattura. Nonostante ciò, l’importo complessivo di 35.121,00 euro è stato preso in considerazione nella rendicontazione delle spese sostenute per il progetto, e incluso nel conteggio delle spese ammissibili per il finanziamento europeo (P.O.R. FESR). Infatti, nel calcolo delle spese per la rendicontazione alla Regione Molise, quella fattura è stata comunque inserita come se fosse stata integralmente saldata, nonostante la nota di credito riducesse l’importo che l’azienda avrebbe dovuto versare. Inoltre, pochi giorni dopo l’emissione di tutti i bonifici, l’imprenditore chiudeva il conto corrente intestato alla società presso la banca n.26 e, successivamente veniva rilasciata una dichiarazione di quietanza liberatoria, che confermava l’avvenuto pagamento della fattura n. 27/2019.

Alla luce di quanto emerso, la Procura riteneva sussistessero sia gli elementi oggettivi che soggettivi affinché venisse riconosciuta responsabilità amministrativa all’imprenditore, per il danno patito pari a euro 32.001,00 dall’Unione europea, dallo Stato e dalla Regione Molise. Pertanto, l’imputato veniva rinviato a giudizio per il reato di truffa aggravata ai sensi dell’articolo 640-bis c.p. per: non aver comunicato correttamente alla Regione Molise la variazione delle spese ammissibili dovuta alla non realizzazione completa delle attività fatturate, non aver segnalato l’importo effettivamente speso (inducendo in errore l’Amministrazione pubblica riguardo alla quantità di fondi ricevuti), aver ricevuto sul suo conto personale il rimborso di somme e  per aver procurato un ingiusto profitto corrispondente alle sovvenzioni per le spese non sostenute, finanziate dal’Unione Europea, pari a euro 19.200,00.

In data 1 febbraio 2024, il convenuto si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda per carenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave. La difesa, infatti, notava come non solo non dovesse sussistere responsabilità nei confronti del proprio assistito, ma anche come la nota di credito fosse un atto dovuto, finalizzato a correggere una discrepanza fiscale legata alla fattura originaria. Argomentazione, tuttavia, contestata dal PM che ha ribadito che l’elemento soggettivo del reato, nonché il dolo, fosse chiaro, non tanto per la questione contrattuale con il fornitore, quanto per il mancato aggiornamento della rendicontazione delle spese, e per aver taciuto la riduzione dei costi reali, in violazione del disciplinare degli obblighi che regolava l’erogazione dei fondi pubblici. In subordine, la difesa chiedeva una riduzione dell’importo contestato, qualora fosse stata accertata una qualche responsabilità, sostenendo che il danno effettivo fosse pari a 19.200,60 euro, ovvero il 60% dell’importo indebitamente percepito.

La Corte dei Conti affrontava il merito della causa affermando come la richiesta di risarcimento avanzata dalla Procura risultasse giustificata, sebbene con alcune limitazioni individuabili in una componente oggettiva e soggettiva. In primo luogo, per la componente oggettiva, la Corte sottolineava che l’imputato avesse omesso di comunicare alla Regione la variazione delle spese ammissibili, il che avrebbe dovuto comportare una riduzione delle agevolazioni ricevute. Inoltre, l’imprenditore aveva trattenuto una somma indebitamente ricevuta dalla società, che sarebbe stata poi rimborsata tramite l’emissione della nota di credito. La Corte osservava come taluni comportamenti violassero direttamente gli obblighi stabiliti dal “Disciplinare degli Obblighi”. In particolare, tale condotta era in contrasto con l’articolo 12 del Disciplinare che consentiva alla Regione di risolvere il Disciplinare degli Obblighi, di revocare il finanziamento, anche parzialmente, qualora le spese dichiarate come sostenute non fossero state effettivamente realizzate, con conseguente restituzione delle somme erogate.

La Corte, quindi, individuava come danno risarcibile la parte del contributo pubblico erogata ma non giustificata dalle spese effettivamente sostenute. In pratica, il contributo era stato utilizzato per attività che non erano state realizzate, come evidenziato dai documenti e dalle rendicontazioni fornite. Osservava, inoltre, come l’importanza delle spese dichiarate e la mancata realizzazione di quanto previsto nel progetto incidessero direttamente sulla funzionalità dell’intervento finanziato. Infatti, l’incapacità di completare il progetto come previsto aveva condotto a non realizzare l’obiettivo per cui era stato concesso il finanziamento.

D’altra parte, per la componente soggettiva, la Corte affermava che gli elementi probatori emersi erano inequivocabili nel confermare che la condotta del convenuto fosse stata caratterizzata da una consapevole volontà di frustrarne lo scopo. La sua condotta appariva infatti segnata da una grave sottovalutazione degli interessi pubblici, nonostante avesse piena conoscenza degli obblighi di servizio contro cui andava. Tale atteggiamento, consapevole e improntato ad una evidente distrazione degli interessi pubblici, integrava la qualificazione dolosa del comportamento. In particolare, la Corte osservava due aspetti fondamentali: da un lato, l’atteggiamento omissivo del convenuto che, nonostante fosse a conoscenza della riduzione delle prestazioni eseguite dal titolare della ditta (per un valore effettivo di soli euro 3.120,00), non aveva comunicato tempestivamente all’ente regionale la necessità di una corrispondente riduzione dell’importo del beneficio ricevuto, dall’altro, l’atteggiamento commissivo, che consisteva nell’incasso e trattenimento delle somme (euro 32.001,00) da parte del convenuto, somme che avrebbero dovuto essere versate dal fornitore delle prestazioni.

In conclusione, la Corte accoglieva parzialmente l’eccezione sollevata dalla difesa del convenuto che chiedeva di ridurre l’importo del danno. In particolare, la Corte riteneva che l’amministrazione danneggiata fosse la Regione Molise, in quanto responsabile dell’erogazione del contributo, pur avendo ricevuto finanziamenti dallo Stato e dall’Unione Europea. La Corte stabiliva che il danno subito dall’ente pubblico dovesse essere limitato alla somma che il convenuto avesse indebitamente percepito, ovvero la parte del contributo pubblico erogato che non era stata giustificata dalle spese effettivamente sostenute dalla società beneficiaria. In conseguenza, il danno risarcibile è stato determinato in € 19.200,60, corrispondente al 60% dell’importo di € 32.001,00.

 

 

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